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La truffa della Villa Reale
Franco Isman
Totò vende la Fontana di Trevi

Furto? Scippo? Rapina? No, truffa, un po' come Totò che voleva vendere la Fontana di Trevi a un ricco turista americano; truffa perché chi sta tentando di vendere la Villa, anzi di regalarla per trent'anni, una generazione, non ne ha in realtà la disponibilità.
Ma andiamo con ordine.

23,385 milioni di euro (+IVA) il costo del restauro, anzi della ristrutturazione come è scritto, di cui 18,970 messi dal pubblico e soltanto 4,415 dal privato, così si afferma.
Non è così, è peggio: 23 milioni valgono i lavori di ristrutturazione secondo il computo metrico a base di gara che, si presume, non essendoci informazioni ufficiali, sia stato redatto come stralcio di quello del progetto Carbonara, rivalutato in base al tempo trascorso. Chi vincerà la gara non deve in realtà tirar fuori 4 milioni, deve semplicemente eseguire i lavori previsti ricevendone un corrispettivo inferiore di quello a base d'asta. Un ribasso insomma, uno sconto di 4 milioni su 23, pari al 18,9 per cento. E' piuttosto differente.

Anziché regalare per trent'anni la Villa ad un privato, nulla vietava di mettere in appalto con analoga procedura il solo restauro della Villa appaltandolo ad una impresa specializzata nel restauro e, soltanto dopo, affidarne la gestione ad una ditta esperta in tale settore. Era sufficiente stanziare i 4 milioni di euro mancanti per arrivare all'importo di 23 milioni a base d'asta e, considerato il probabile ribasso, la cifra necessaria sarebbe stata in realtà inferiore. In questo modo si sarebbe potuto scegliere la ditta più affidabile per il restauro e, successivamente, la più conveniente per la gestione, cosa certamente possibile in quanto il sistema di gara lascia amplissimo margine di discrezionalità nella scelta del vincitore.
Con il sistema previsto invece si obbligano le imprese di costruzione e quelle di gestione a consorziarsi per poter partecipare al concorso e non è affatto detto che la ditta più qualificata per il restauro si associ con quella migliore per la gestione. Ed anche la commissione giudicatrice dovrà avere membri con competenze del tutto diverse e qualcuno nulla sarà in grado di dire sul restauro ed altri sulla gestione.

E' però vero che l'avvio del restauro presuppone di avere le idee assolutamente chiare sulle destinazioni d'uso definitive, e sugli impianti conseguentemente necessari, e non può quindi prescindere da un preventivo progetto esecutivo che di tali destinazioni tenga conto.
Nel sistema prescelto progetto esecutivo, restauro e gestione fanno capo ad un unico soggetto che viene così delegato a decidere, al posto dei progettisti prescelti e del Consorzio, sulle effettive utilizzazioni della Villa.

Intendiamoci, in via teorica tutto è già deciso e previsto nel progetto di massima, approvato con alcune modifiche dalla Soprintendenza. Infatti per la Villa vale il "Codice dei beni culturali e del paesaggio”, D.L. 42/2004, che è estremamente rigido nella tutela, fino a stabilire all'art. 170 che “è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque destina i beni culturali indicati nell'articolo 10 ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico”. In teoria. In pratica, certo ben lontani dalle ironiche aberrazioni illustrate in un manifesto di “La Villa Reale è anche mia”, temiamo che un ampio margine di discrezionalità verrà tollerato a tutto danno della fruizione pubblica della Villa sancita dalla legge. In particolare spaventa la dizione di “spazi flessibili e polifunzionali”. L'aver deciso, ma meglio sarebbe dire imposto, questo tipo di appalto-gestione sembra abbastanza assurdo e fa certamente pensare che in realtà sia già stato individuato il team che dovrà gestire l'intero appalto. Un consigliere comunale a questo proposito ha detto “è già stabilito che deve avere un neo sulla chiappa destra”.

Per arrivare a questo risultato l'intera operazione è stata impostata e imposta da Regione Lombardia con disprezzo delle regole e abusi di potere macroscopici, senza tener conto delle competenze dei diversi organi.
Infrastrutture Lombarde spa, braccio armato della Regione, era titolare di generici incarichi previsti dall'atto costitutivo e dallo statuto del Consorzio, che ovviamente nulla dicevano sulle modalità di questo indecente appalto: contestualità di ristrutturazione e gestione, durata trentennale, importo teoricamente a carico dell'appaltatore di 4 milioni, affitto quasi soltanto nominale di 30.000 euro all'anno. Tutto ciò parzialmente stabilito da successivi atti amministrativi: una delibera della Regione Lombardia del 9 febbraio 2010, ed una del consiglio di amministrazione del Consorzio del 24 febbraio 2010. Non risulta ci siano in proposito delibere del Comune di Monza né dell'Assemblea del Consorzio.

Al proposito si deve osservare:
Primo. Il Comune di Monza non aveva all'epoca formalmente trasferito al Consorzio le sue proprietà (e probabilmente non lo ha ancora fatto) ed il Consorzio quindi non ne aveva la disponibilità.
Secondo. Il Consiglio di gestione del Consorzio (composto allora da tre membri) non ha i poteri per una decisione di tal fatta, può soltanto “predisporre il piano strategico di sviluppo culturale, nonché i programmi annuali e pluriennali delle attività da presentare all'approvazione dell'Assemblea dei Consorziati e da trasmettere ai competenti organi ministeriali preposti alla tutela…”
Terzo. Nel documento approvato dal Consiglio di gestione del Consorzio nulla è detto sulla durata della concessione (30 anni rappresenta un massimo previsto dalla legge) e sul canone di concessione indicati rispettivamente nel bando e nello schema di contratto di concessione predisposti da Infrastrutture Lombarde.
Quarto. Il Consorzio è stato costituito in data 20 luglio 2009 con durata ventennale e non può quindi prendere impegni trentennali che scadranno al più presto a fine 2040 e cioè 11 anni e passa più tardi.

Con abusi di potere di questo peso non dovrebbe essere difficile ottenere dal TAR Lombardia in primo luogo una sospensiva dell'aggiudicazione e in sede di giudizio di merito l'annullamento. Ci sono due problemi eminentemente legali:
Uno. Chi può presentare ricorso: certamente un'impresa non aggiudicataria, probabilmente uno o più consiglieri comunali ma forse anche dei privati cittadini, mentre è dubbio che lo possa fare una associazione. Materia da avvocati amministrativisti.
Due. Quando: entro trenta giorni dall'aggiudicazione della concessione. Con lo spostamento del termine di consegna delle offerte a metà dicembre, se l'aggiudicazione dovesse avvenire in tempi ristrettissimi (e la cosa sarebbe certamente molto strana) nei trenta giorni sarebbero anche comprese le feste natalizie…

Raccogliere firme e indire manifestazioni è cosa degna e giusta ma qui è indispensabile che le forze di opposizione, se intendono davvero opporsi, predispongano con immediatezza il ricorso.
Nella migliore delle ipotesi si sarà perso un sacco di tempo mentre, se si fosse seguita la via già tracciata esaminando a fondo tutti i possibili utilizzi compatibili con la vocazione pubblica della Villa e confermando allo studio Carbonara il progetto esecutivo anziché accondiscendere alle strane pulsioni di Formigoni, a quest'ora si sarebbe potuto essere al decollo dei lavori di restauro del primo lotto funzionale.

Franco Isman



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  13 novembre 2010